Il randagismo, cioè la condizione di cani che vagano soli o in branchi senza avere un proprietario, rimane ancora oggi nel nostro Paese un fenomeno molto allarmante e diffuso su tutto il territorio nazionale,
ma preponderante nel centro e sud Italia. Conseguentemente il legislatore ha favorito politiche dell’adozione degli animali.
La Legge n. 281/1991 “Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo”,
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 30 agosto 1991, affronta in vari articoli le tematiche dell’abbandono. L’articolo n. 1 ricorda che “Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente”.
L’articolo n. 2 comma 5 evidenzia che “I cani vaganti non tatuati catturati, nonché i cani ospitati presso le strutture, devono essere tatuati; se non reclamati entro il termine di sessanta giorni possono essere ceduti a privati che diano garanzie di buon trattamento o ad associazioni protezioniste, previo trattamento profilattico contro la rabbia, l'echinococcosi e altre malattie trasmissibili”.
L’articolo n. 4 comma 1 specifica che “I comuni, singoli o associati, e le comunità montane provvedono al risanamento dei canili comunali esistenti e costruiscono rifugi per i cani, nel rispetto dei criteri stabiliti con legge regionale e avvalendosi dei contributi destinati a tale finalità dalla regione”.
Lo stesso articolo al comma 2, attribuisce ai “servizi comunali e i servizi veterinari delle unità sanitarie locali si attengono, nel trattamento degli animali, alle disposizioni di cui […]” ai paragrafi precedenti.
La Circolare del Ministero della Sanità n. 5/2001, in attuazione della legge 14 agosto 1991 n. 281. (G.U. n. 144 del 23 giugno 2001), al comma 3 recita che “l'eccessiva proliferazione canina, determinata dalla riproduzione naturale dei cani liberi e vaganti incontrollabile ed incontrollata, ha notevolmente incrementato il randagismo. Questa realtà ha indotto gli amministratori locali a ricercare soluzioni alternative individuate nell'ipotesi del cosiddetto - cane di quartiere. In concreto si tratta di catturare i cani randagi, curarli, tatuarli, sterilizzarli e reimmetterli nello stesso territorio dal quale sono stati prelevati; con l'obiettivo che detti cani hanno la possibilità di sopravvivere, in relazione alla loro notevole capacità di adattamento e considerato il fatto che la gente del quartiere, non dovendosi attribuire l'onere della responsabilità della proprietà del cane, si adopererà per procurare al tradizionale amico dell'uomo i parametri minimi di convivenza: alimenti e alloggio di fortuna”.
Alle norme nazionali, sopra enunciate, si affiancano leggi, regolamenti, deliberazioni, linee guida, ecc. emesse in autonomia dalle Regioni. Conseguentemente si riscontra una variabilità di direttive
nella penisola e nelle isole che determina disomogeneità legislativa sul territorio nazionale. Praticamente quando viene individuato un soggetto idoneo per carattere, indole, mole, ecc. a divenire un
“cane di quartiere”, i cittadini interessati dovranno provvedere, in armonia con il Servizio Veterinario competente, alla registrazione anagrafica del soggetto tramite identificazione con microchip,
all’uso dell’idoneo collare, alle profilassi vaccinali, alla valutazione dei titoli anticorpali per la leishmaniosi (sierodiagnosi), alla prevenzione della tenia echinococco, ecc. Parallelamente sarà
consigliabile una valutazione comportamentale dell’animale, tesa a stimarne la possibile aggressività. Detto giudizio, a garanzia di serietà, dovrà essere affidato ad un medico veterinario “esperto in
comportamento animale” (elenco nazionale FNOVI). La normativa promuove la sterilizzazione dei soggetti, tramite intervento chirurgico di ovarioisterectomia per le femmine e orchiectomia per i maschi
(ovviamente esistono anche altre procedure chirurgiche consentite che possono evitare la riproduzione degli animali).
I cittadini dovranno anche individuare un responsabile del cane, il quale sarà
tenuto non solo a coordinare la buona gestione dell’animale, ma anche a stipulare una polizza assicurativa di copertura per i danni che l’animale potrebbe involontariamente provocare a terzi.
L’istituzione
del “cane di quartiere”, secondo il pensiero dell’autore, ha solo una finalità provvisoria per il contenimento del randagismo. Il fenomeno però dovrà essere affrontato alla radice, sia evitando l’acquisto
non adeguatamente ponderato dei cani sia scongiurando l’incosciente riproduzione degli stessi. L’abbandono dei cani, così come di tutti gli “animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della
cattività” è punito dall’articolo n. 727 del Codice Penale. Detta normativa dovrà prevedere gradualmente un inasprimento delle sanzioni, poiché trattasi di reato di dimostrata inciviltà e crudeltà del
colpevole.